L’urlo di Pace di tutte le religioni nel Parco di Casa Giacobbe a Magenta
Un momento di condivisione e speranza.
Un momento di condivisione e speranza.
Un momento molto sentito da tutta la comunità.
Pochissima gente e qualche problema. Ma, soprattutto, perché non tenere aperto il parco storico magentino almeno un paio di ore il sabato o la domenica?
L’assegnazione domenica 8 giugno in occasione del torneo di calcio giovanile memorial Enrico Cucchi.
Inevitabile il riferimento alla recente polemica innescata dalla lettera di alcuni docenti del liceo scientifico Bramante.
E’ la polemica della settimana che non accenna a smorzarsi. Ne abbiamo parlato davanti ad un luogo storico in vista delle celebrazioni del 4 giugno.
Il 4 giugno 1859, a Magenta, si svolse una delle battaglie più decisive e sanguinose della Seconda Guerra d’Indipendenza Italiana. Questo scontro, che vide contrapporsi le forze franco-piemontesi all’esercito austriaco, aprì la strada alla liberazione di Milano e pose le basi per l’unificazione d’Italia.
La riunione seguita da Sergio Garavaglia
Ecco la lettera integrale di alcuni docenti inviata al ministro sul protocollo d’intesa con l’associazione Bersaglieri.
L’autore inizia con una citazione di Massimo Bontempelli, “Spunta il sole, canta il gallo, Mussolini sale a cavallo”, risalente ai primi anni ’30, un periodo in cui il Fascismo godeva di un’approvazione pubblica schiacciante (99-99,9%). L’autore afferma che il Fascismo “fu, è, sarà, l’autobiografia degli italiani”, tracciando un parallelo con la gloria e il tradimento di Cesare.
Il testo si sposta poi su una critica dell’Italia contemporanea, collegando il “filone sempreverde della commedia dell’arte” al “green pass”, che l’autore descrive come un “gloriosissimo foglio verde, foglio figlio di una incalcolabile, ad hora, corruzione”. Questa corruzione è tollerata silenziosamente a causa di una “pietas patriottica”, che l’autore cinicamente etichetta come una “troia”, riecheggiando il detto di Francesco Guicciardini, “‘o Franza o Spagna purché se magna”. Questa “troia” è la “nobilissima consorte del porco, del nostro costume: il comun agire, schiavo… quorum ego”.
L’autore rivisita il Ventennio Fascista, menzionando l’olio di ricino come mezzo di “pulizia intestinale” che favoriva un “pensiero lieve” alleviato dal “gran rittenuto peso fecale” che grava sull’epoca attuale, caratterizzata dal “mangiare & bere”. Il testo poi fa una connessione apparentemente brusca, e in qualche modo oscura, ai “Negroni”, che furono arrestati per “aver insaccato merda” e averne ricavato contributi dalla nascente Europa.
L’autore racconta un aneddoto personale in cui gli fu somministrato olio di ricino e olio di fegato di merluzzo da adolescente da un medico militare, Alberto Recusani, un veterano della ritirata di Russia. Poi, sarcasticamente, augura che gli odierni “facinorosi guerrafondai europei politicamente corretti” ne bevano a ettolitri.
Infine, l’autore conclude lamentando le moderne alternative per la “pulizia intestinale” (fave di fuca, yogurt, isterie ginniche) e suggerisce di conservare la boccetta di olio di ricino come “imperituro monito”: “intestino pulito, pensiero ordinato”. Collega questa idea a Bontempelli, che fu confinato per tre mesi per aver irriso il potente, suggerendo che il riso sia il vero nemico di coloro che si lamentano.